13600HZ

Concert for Sewing Machines
Un progetto di ricerca artistica di Sara Conforti

Testo critico | Olga Gambari

L’azione 13600 HZ è qualcosa che vive nel tempo e nel luogo dove accade, ogni volta un organismo energetico, che coinvolge pubblico e performers diversi, che sviluppa un corpo formale e sonoro unico, integrato allo spazio: un attivatore multiplo di significati dalla natura artistica, che vive nella sua azione relazionale. 
È un progetto di natura concettuale e simbolista, dal cuore sociale e la volontà educativa, che prende forma come una piece teatrale, e alla fine diventa evento sensoriale.

Ogni tappa crescendo in respiro, amplificando il senso e l’immaginario. C’è un’atmosfera che evoca Tadeusz Kantor nel quadro che si apre davanti allo spettatore, echi di metafisica novecentesca: una disposizione di macchine da cucire, la cui installazione varia ogni volta, così come la relazione con altri oggetti. Sono simboli, la società del consumo, l’industria, l’ambiente e l’umanità, cioè sia l’individuo singolo sia la collettività.
Le persone che sono insieme vittime, carnefici, testimoni e portatori della responsabilità di agire, reagire, informarsi, cambiare le cose. Una missione che Sara Conforti occulta come mina detonante e poetica all’interno di un ambito tradizionalmente considerato superficiale e legato all’effimero, cioè quello della moda.
Conforti scava fino al cuore di ciò che è “la moda”, arriva all’habitus, all’idea di costruzione del luogo che accoglie il corpo. Corpo che, prima di abitare il mondo, deve abitare una forma tagliata e cucita nella stoffa, il suo primo guscio, la sua prima formalizzazione di identità verso l’esterno.
L’habitus è progetto e dichiarazione d’intenti, è memoria, è radice antica quanto l’umanità stessa. 
È ricerca di se stessi e dell’altro fuori da noi.
L’abito che indossiamo è il nostro passato, il presente e sarà anche il futuro, rispetto al nostro corpo, rispetto all’ambiente con cui l’habitus si relaziona, da cui proviene come materia prima, come prassi di lavoro, a cui ritornerà come scarto, verso cui si pone come modello. Qualcosa che coinvolge tutto il corpo, quello fisico, quello mentale e razionale, quello sentimentale, emotivo, che sono esattamente le stesse condizioni di coinvolgimento e le caratteristiche della poetica di Sara Conforti. 


Riflesso speculare perfetto.
La produzione industriale della moda oggi è in conflitto con l’individuo e con l’ambiente, è un sistema che sfrutta risorse umane e naturali, che suggerisce un comportamento di omologazione di massa, che induce un ciclo irresponsabile di consumo. Il progetto ci parla, invece, di una possibile alternativa che sviluppi anche una capacità educativa, che renda le persone consapevoli di se stesse e di ciò che scelgono. L’azione offre un tempo sospeso per pensare a tutto ciò, per iniziare a pensarci, stimolati da suggestioni diverse e trasversali. In questo l’azione di 13600HZ ha un potenziale divulgativo e informativo importante, perché suggerisce e non insegna, coinvolge emotivamente proponendo elementi che diventano attivi successivamente, come traccia che rimane in ciascuno. Onde quadre e sinusoidali di aghi meccanici che sembrano, invece, naturali, onde marine, eppure è più acute, appuntite, fastidiose, si insinuano sgradevolmente, inquiete.
Sono onde di produzione che si mescolano a un drone musicale elettronico, che arriva in 21 minuti da zero a 13600HZ, soglia di tolleranza massima prima che la frequenza sonora inizi a distorcere le percezioni sensoriali. È come arrivare al limite della follia, trovarsi dentro a un vortice che sta per esplodere, e poi fermarsi.  Si riallaccia una relazione con una pratica antica, si ipotizza un modus operandi sostenibile, che innesti un nuovo circuito produttivo virtuoso, civile.
Bisogna fermarsi, informarsi, ascoltare, scegliere, prendere consapevolezza, avere rispetto: 13600HZ sensibilizza provando a dissipare un’ignoranza, spesso connivente, che si accetta perché è comoda, perché a volte “sapere” spaventa. La performance si riferisce anche al know how innato del “made in italy”, eccellenza ad alto rischio di estinzione, completamente snaturata dai nuovi trend produttivi, svenduta come marchio, privata di contenuti, rapinata di quella capacità ideativa e artigianale che si impara per tradizione, per contatto diretto.
Un’eredità che passa per contatto, inspiegabile a parole.
Qualcosa che appartiene a una sorta di dna produttivo, che connota un’identità e un fare.